Fabrizio Trallori, storico, ci spiega il ricco "menu" dei piatti della Divina Commedia.

Mangiare per vivere o vivere per mangiare?

La tavola fiorentina al tempo di Dante

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Mangiare per vivere o vivere per mangiare?

Articolo tratto da Next 68

La Commedia è un grande affresco della società e della politica fiorentina dei decenni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, una selva di personaggi reali e leggendari attraverso cui Dante ci conduce a scoprire vizi e virtù di una Firenze segnata dalla decadenza, di cui le abitudini alimentari sono indice della distanza da quella “della cerchia antica”, dove “non v’era giunto ancor Sardanapalo (mitico re assiro, nel Medioevo simbolo dei piaceri della gola e alla lussuria), / a mostrar ciò che ‘n camera (termine che nel latino medievale non indica solo una camera da letto, ma anche il cenacolo) si puote” (PAR., XV, vv. 107-108). Dante condanna i vizi del suo tempo e si sente idealmente vicino a questa Firenze di tempi migliori, ne ammira la sobrietà e la semplicità di costumi e si comporta di conseguenza anche rispetto al cibo. Secondo Giovanni Boccaccio (Trattatello in Laude di Dante), il poeta fiorentino a tavola «nel cibo e nel poto fu modestissimo…» a differenza dei suoi concittadini, ormai da decenni abituati ad affidarsi a cuochi professionisti per dimostrare, attraverso il cibo, la propria condizione sociale. Il testo di riferimento per ricostruire la gastronomia del tempo di Dante è il Liber de Coquina, un trattato della metà del XIII secolo attribuito recentemente alla corte dell’Imperatore Federico II, che presenta una gastronomia sospesa tra tradizione medievale fatta di pasticci di carne, timballi, spezie, miele e formaggi e le esigenze della nuova aristocrazia mercantile che preferisce piatti riccamente speziati e i dolci come nucati, torroni, pani speziati e focacce al formaggio e miele, nonché del classico sorbetto. Documenti fiorentini ci danno ulteriori indicazioni circa i piatti consumati in quegli anni: nel Libro della Mensa dei Priori di Firenze troviamo parole come cialda e cialdone (quest’ultimo ‘grossa cialda, avvolta a cannello, che viene farcita’, dal francese chalde), pappardelle (come ‘tipo di pasta’, eredi delle antiche lasanas di origine etrusco-romana), cacio parmigiano (e anche parmigiano come sostantivo) ed il pane impepato, fin da allora legato alla festività del Natale. Assolutamente emblematico è poi il caso di àrista ‘schiena e lombo del maiale’, che, ben prima della datazione quattrocentesca vulgata, è parola e cibo ben noto a Firenze fino dall’ultimo quarto del Duecento, come testimoniato dal Registro di Entrata e Uscita del convento di Santa Maria di Cafaggio (oggi Santissima Annunziata) relativo agli anni 1287 e 1288. È dunque una parola degli anni della giovinezza di Dante, non del Concilio del 1439 come comunemente si crede. Sono francesismi ad esempio il brodo o brodetto dall’antico francese breu ‘intingolo’ (ma anche esalazione di liquidi che bollono), settentrionalismi invece (divenuti poi di uso generale) raviolo (dal tardo latino Rabiolus nel senso di manicaretto, cibo ripieno, a forma, appunto di manica) e vernaccia, sulla cui etimologia in realtà molto si discute: nei documenti medievali questo termine sembra indicare genericamente un vino bianco di ottima qualità, secondo interpretazioni più recenti la parola indica un ‘vino bianco originario delle Cinque Terre’ (dal toponimo Vernaccia/Vernazza) o dell’area di Verona (dal latino veronea, originario della campagna veronese); una terza interpretazione, infine, lega questo vino all’inverno (perché si beve nel verno). La gola, nella Commedia, diventa quindi indicatore di decadenza sociale, primo peccato sulla strada della dannazione ed ai golosi viene riservato il III Cerchio dell’Inferno (Canto VI) dove le anime sono sommerse nel fango e battute da una pioggia sudicia, maledetta e fredda, contrappasso alla loro abitudine, in vita, di soddisfare i loro sensi con il piacere. Tra questi dannati, Ciacco è il prototipo di tutti coloro che pur dotati di buone virtù sono caduti nel vizio della gola.

Fabrizio Trallori Storico

 

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